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Il Nebbiolo di Angelo Gaia


In autunno, in tempo di vendemmia e di tartufo bianco, queste terre offrono uno spettacolo ineguagliabile della natura: il paesaggio sembra essere dipinto da un sapiente astrattista, ogni fazzoletto di vigne di un colore diverso che va da un rosa tenue fino al viola intenso, passando per tutte le sfumature di rosso, arancio e verde. Nelle vallate, disposte in tutte le inclinazioni possibili tra le colline, scivola dolcemente la nebbia, cambiando, per la gioia dello spettatore, il quadro a ogni ora del giorno. E’ dalla nebbia che prende il suo nome il Nebbiolo, il più nobile tra i vitigni italiani e tra i più nobili di tutto il mondo. Un vitigno non facile, il nebbiolo si concede solo a chi lo conosce da sempre, a chi conosce i suoi segreti, le sue debolezze e le sue potenzialità, a chi sa e vuole ascoltarlo: la gente della sua tradizione. Altrove si comporta da un gran ribelle introverso e difficilmente regala il meglio di sé. Ricco di tannini, povero di antociani, tardivo e fragile, richiede tante cure, tanta fatica e tanta passione, che non sono certamente mancati qui nei secoli precedenti. Mentre il Piemonte passava da un impero all’altro, mentre guerre e miseria si alternavano con brevi periodi di pace e prosperità, culminando nell’Unità d’Italia, caparbi contadini langhetti continuavano il loro duro lavoro nelle vigne. Camillo Benso conte di Cavour con l’enologo Oudart, i Savoia con Staglieno, i marchesi di Barolo, Domizio Cavazza, Gian Battista Burlotto, Renato Ratti, e tanti altri personaggi più o meno illustri hanno portato avanti la bandiera del Barolo negli anni. Fino ad arrivare a Angelo Gaja e ai Barolo Boys. Certo, il nome di Gaja è legato al Barbaresco, non al Barolo, e ad oggi ne è il re indiscusso, ma ha a che fare anche con il Barolo. Quando, nel 1961, ha iniziato il suo percorso, era solo un giovanotto con delle idee altro che discutibili, riprovevoli! Angelo ha introdotto i vitigni internazionali nelle vigne del Barbaresco e le piccole botti in cantina. Agli occhi altrui fu un tradimento. Invece, tipicamente caparbio, tenace e aperto alle sfide, come gran parte dei langhetti, ha reso un gran servigio al suo Barbaresco e a tutte le Langhe. Proponendo i vini conosciuti agli appassionati internazionali, Angelo ha sdoganato il nebbiolo. Lui, prima di chiunque altro, ha capito che l’unicità di questo straordinario vitigno era sì una fortuna incredibile, ma era anche l’isolamento, in quanto costituiva il limite per farlo conoscere al mondo. Il gusto internazionale è stato formato dai vini francesi e il cabernet sauvignon era l’inglese del vino, che permetteva di parlare la stessa lingua con gli stranieri, mentre il nebbiolo era il finlandese, compreso solo in una minuscola fetta di mondo.Esperti di notorietà mondiale definivano i vini di nebbiolo amari e astringenti, spesso sgradevoli e selvaggi, nessuno da considerarsi eccezionale. Produrre un vino seducente e comprensibile altrove senza sacrificare la sua unicità è stata la sfida di Angelo Gaja e lui con successo l’ha portata a termine, puntando su quelle grandi doti del nebbiolo che altri vitigni non possiedono: sviluppare con l’invecchiamento un bouquet di aromi straordinariamente ricco di lamponi e more, di violette e rose, di spezie e tabacco, di caffè e cacao, di liquirizia, catrame, cuoio, cera, tartufi, funghi, humus, terra bagnata, sottobosco, balsamicità e mineralità. In effetti, il Barolo contemporaneo, quello di Renato Ratti per intenderci, ha cominciato a collezionare elogi e ammiratori esteri solo quando lo assaggiarono, dopo più di 20 anni di invecchiamento, negli anni ottanta. Gaja non poteva non produrre il Barolo e così, nel 1988, acquistò le vigne storiche a Serralunga d’Alba. Il suo Barolo, oggi volutamente declassato, è esattamente come lui: profondamente langhetto e incredibilmente cosmopolita.

Sperss 1998 di Angelo Gaja
Si potrebbe aver voglia di chiamarlo un Barolo mancato, ma in realtà è il contrario: è un Barolo che si concede un po’ di stravaganza, abbracciando il quasi impercettibile 5% di barbera. 
Sperss rivela un aroma di violetta e di frutti neri e ciliegia. La sua vera anima è austera e legata al terroir di Serralunga d’Alba, di cui sono caratteristiche le note terragne di humus, tartufi, goudron, cera d’api, incenso, la scatola di spezie. All’assaggio si presenta denso, di grande corpo e struttura, con i tannini fitti di trama nobile. Lungo e ancora in evoluzione. Sarebbe fantastico poterlo riassaggiare fra altri 4 anni, quando avrà raggiunto un quarto di secolo.