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my way to jerez

wine_witness

Jerez mi incuriosiva da sempre: la letteratura inglese, a partire da Shakespeare, ne è piena di reminiscenze. Si versavano fiumi di sherry in diverse epoche, in diverse occasioni. Poi è tornato ad echeggiare durante il mio studio di spagnolo, insieme alla tauromaquia, al flamenco, alla dominazione araba. Già bevitrice consapevole a quell'epoca, fremevo di assaggiarlo. E quando è successo rimasi confusa: mi sembrò.. strano. Pallido alla vista, pungente al naso, indecifrabile al palato. Così smisi di fremere. 


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Anni dopo, al Master del Vino, dovetti studiarlo per benino e, spinta dalla mia antica curiosità nei suoi confronti, lo feci anche meglio. All'esame ho avuto Jerez. Sapevo di lui tutto, vita, morte e miracoli. Non poteva che essere un gran vino. Ma in Italia non si trova(va) nulla a parte Tio Pepe base e qualche denso dolcissimo Pedro Ximenez. Quell'estate andammo in Spagna, ma non in Andalusia, fa troppo caldo lì in agosto. Lo cercavo nelle carte dei vini finché non siamo capitati in un ristorante stellato di Santander, con un vero sommelier in carne e ossa. "Uno dei vini più grandi del mondo", mi disse, "vuole, le faccio una degustazione didattica?". La volevo, eccome se la volevo. E' stato potente, illuminante e infinitamente bello. Doveva essere approfondito. Per la mia fortuna, nei successivi tre anni ho passato moltissimo tempo tra Londra e Amsterdam (altro acquirente storico degli sherry), dove ho potuto farmi una buona cultura degustativa dei jerez. Il mio palato ha imparato a sentire le sfumature di fino e di manzanilla, distinguere quella classica da quella pasada e quella en rama, capire oloroso, amontillado e non inquadrare del tutto il palo cortado. A ogni mio passaggio a Londra tutt'ora si compie il rituale a La Copita e a Pepito, a volte anche da Drake's Tabanco e da Barrafina. Adoro jerez-xérès-sherry, lo trovo un compagno incredibile da solo e a tavola. Tuttavia, mi mancava una cosa fondamentale: mettere il piede in una (due, tre, dieci..) bodega, annusare la flor, assaggiare il vino mentre è in progress.. Sapevo che un giorno non lontano l'avrei fatto: i sogni vanno vissuti. 



Ed è successo. All'improvviso, come in un sogno. Poche ore prima di trovarmi in Jerez, mi è arrivata la carta d'imbarco per Sevilla, senza ulteriori spiegazioni. Era la vigilia del mio grosso compleanno e la mia stupenda famiglia.. Ma quello è un tema a parte e non per queste pagine. Quando la macchina, guidata da un amico, ha svoltato in direzione Jerez, mi sono sentita una teenager per l'espressione di gioia. Seguirono cinque giorni di bodegas e di tabancos, di vigne e di soleras, di città andaluse, di alcazar e cattedrali, di tanto cibo, abbinato solo e rigorosamente ai vini di jerez. 
E nonostante la mia ormai profonda, teorica e pratica, preparazione in materia, non sono mancate le sorprese. Ovviamente riguardavano le tendenze odierne che abitano ancora nelle menti e nelle bodegas dei produttori, non girano il mondo se non in direzione mirata e concreta. Vinificazioni diverse, nuovo disciplinare approvato da parte della Comunità Europea, sapori sconosciuti. Anche qui, come ovunque nel settore vino, ci sono dei cambiamenti che bollono in pentola. Riguardano piccoli produttori e vini artigianali, interpretazioni di terroir e di annate, non esattamente ciò che rappresenta solera.. Parlare con gente che respira cambiamenti, li spinge perché ci crede, ecco cosa manca.
E mi preparo di nuovo la valigia, questa volta volo fino a Jerez.